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Vine e il cimitero delle (belle) app abbandonate

Vine e il cimitero delle (belle) app abbandonate
Pier Francesco Piccolomini

Pier Francesco Piccolomini

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Perché un’app utile, ben fatta e innovativa, dopo una folgorante uscita, scivola nel dimenticatoio?

Questo è uno dei grandi misteri dell’informatica. Mentre alcune app piuttosto mediocri conquistano la fiducia di milioni di utenti e diventano dei must, altre che nascono più sane, più belle, più utili e più innovative delle altre finiscono inspiegabilmente nell’oblio.

VineÈ recentemente successo con Vine (per Android e iOS). La società ha cinguettato su Twitter il traguardo di 40 milioni di utenti raggiunti. Ma The Verge ha messo subito in discussione il valore del dato numerico, chiedendosi: quanti di questi utenti che hanno scaricato l’app nel loro Android e nel loro iPhone la usano davvero?

La domanda non è priva di senso. Dati alla mano, la comunità di Vine, almeno stando ai dati estraibili dai social media, è molto meno attiva di quella, ad esempio, di Instagram. Sei volte meno attiva. Eppure quando il programma di microvideo è uscito, la situazione era opposta.

Quindi, nonostante l’innovazione, e nonostante i mille usi possibili del nuovo mezzo che le persone hanno immediatamente escogitato, l’entusiasmo è scemato, senza un motivo evidente.

Ma la stessa sorte è toccata a molte altre app, che dopo un debutto con fuochi artificiali sono finite in qualche angolo oscuro dello smartphone di milioni di utenti, inutilizzate.

google-earth-31Google Earth per iPhone e Android, per esempio, è installata su centinaia di milioni di telefoni, ma in pochi la aprono. L’app è ben fatta e ha un indiscutibile appeal, come dimostrano i lusinghieri numeri in termini di installazioni. Eppure non viene usata.

Si potrebbe dire che Google Maps l’abbia resa in qualche modo superflua, ma è solo una mezza spiegazione. La verità è che non sapremo mai perché le persone l’hanno amata per un po’ e poi dimenticata per sempre.

dragon-dictationUna sorte non migliore è toccata a Dragon Dictation, un’app gratuita per iPhone che poteva conquistare il mondo.

La qualità del riconoscimento vocale rasenta la perfezione, e ti permette di dettare allo smartphone email, SMS e appunti. Quando fu pubblicata fu accolta con un coro unanime di approvazione. Poi il coro s’è affievolito, senza una ragione, fin quasi a spegnersi. Eppure l’app è gratis, di fattura eccezionale ed è prodotta dalla Nuance, leader del mercato del riconoscimento vocale con Dragon Speech Recognition.

snapseedAnche Snapseed, forse la migliore app fotografica di ogni tempo (per Android e iOS) è stata assaggiata, masticata, assaporata con soddisfazione e poi, senza un motivo apparente, sputata.

Eppure lo strumento di regolazione selettiva era una gemma nel panorama delle app fotografiche per cellulari. Al suo posto sono state preferite app di qualità inferiore, o meno ricche di strumenti. Forse a Snapseed mancava qualcosa. O forse offriva troppo. E la troppa generosità non sempre paga.

mailboxLa semplicità, d’altronde, soffre dello stesso problema. Mailbox per iOS (ne avevamo parlato diffusamente il giorno in cui fu ufficialmente pubblicata) è un programma di gestione della casella di posta di Gmail autenticamente intelligente, estremamente innovativo e utile per semplificare la gestione della posta di chiunque.

Dopo la sbornia iniziale, gli utenti però abbandonarono Mailbox, per tornare tra le rassicuranti braccia dell’app ufficiale di Gmail, più noiosa per molti aspetti, ma più rassicurante. In questo caso, probabilmente, l’abitudine è stata il veleno che ha ammazzato l’innovazione. Un peccato.

pathLa stessa abitudine ha penalizzato anche Path (con client sia per Android che iOS), il social network dal volto umano.

Nonostante Facebook sia sempre più invasivo e la tua privacy sempre più difficile da tenere sotto controllo, gli utenti gli sono rimasti fedeli, penalizzando Path e la sua discreta dimensione familiare.

soundhoundAltre volte invece, chissà, la differenza tra successo e insuccesso la fa un nome indovinato contro uno più “debole”.

Ed è forse per questo che l’ottimo Soundhound (per Android e iOS) perde sistematicamente la sfida con Shazam (anch’esso per Android e iOS), meno performante ma con un nome così magico da risultare irresistibile.

Chissà, un giorno forse qualcuno riunirà tutte queste applicazioni incomprese in un grande sito web che funga da casa di riposo, e si occuperà di loro come avrebbero meritato.

Nel frattempo, ogni tanto, sarebbe bello fare un giro per i meandri dimenticati dello smartphone. Potremmo trovarci una perla dimenticata. E magari darle un’altra chance.

Pier Francesco Piccolomini

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