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iCloud: il tuo spazio non è tuo. Ecco cosa hai accettato attivando il servizio

iCloud: il tuo spazio non è tuo. Ecco cosa hai accettato attivando il servizio
Pier Francesco Piccolomini

Pier Francesco Piccolomini

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I termini e condizioni che accetti quando attivi iCloud nascondono un bel po’ di insidie. Eccone alcune di cui è meglio essere consapevoli.

Pochi giorni fa 500 milioni di utenti iTunes si sono improvvisamente ritrovati Songs of Innocence, il nuovo album degli U2, nel proprio spazio di archiviazione. È stato un regalo di Apple, annunciato durante la keynote del 9 settembre. Ma non tutti lo hanno gradito.

Il problema, però, non è stato musicale, o almeno non è stato quello il principale. Quello che in molti non hanno digerito è di non aver potuto scegliere se accettare o no il regalo. E ancor più, di averlo percepito come una violazione di uno spazio che credevano privato, e che di fatto ha dimostrato di non esserlo: iCloud.

Ovviamente una grande azienda non farebbe nulla del genere se non fosse autorizzata dagli stessi utenti a farlo. E questa autorizzazione è contenuta in quel lungo, noioso e complicato documento che racchiude i termini e condizioni d’uso dei servizi che decidiamo di usare.

La questione dei contratti, che un utente accetta di solito senza leggere, è da sempre spinosa. E negli ultimi anni tutti i grossi nomi di internet, Apple compresa, si sono trovati più di una volta a dover fronteggiare orde di utenti e di associazioni dei consumatori furibonde.

Ecco alcuni esempi particolarmente torbidi di “abuso di potere” autorizzati da noi consumatori inconsapevoli.

C’è chi dice no. La Norvegia, per esempio

Quando un utente accetta le condizioni d’uso di iCloud, accetta anche il fatto che Apple possa cambiarle senza darne alcuna comunicazione.

L’agenzia governativa norvegese a protezione dei consumatori Consumer Council of Norway ha pubblicato, a maggio di quest’anno, una denuncia ufficiale in cui condanna proprio i termini contrattuali previsti da Apple per iCloud.

Il documento con i termini e le condizioni, che gli utenti devono firmare per accedere al servizio, è troppo lungo (8.600 parole) e troppo complicato da comprendere. Termini e condizioniIn altre parole, chi “firma” cliccando sul tasto Agree non è messo nelle condizioni di sapere davvero ciò che sta accettando.

Non solo: Apple, si legge nel documento, viola anche la legge norvegese, e più precisamente la sezione 22 del Norway’s Marketing Act.

La clausola incriminata è quella che prevede il diritto dell’azienda di modificare senza avvisare i termini che gli utenti sottoscrivono. In questo modo, i consumatori vengono sostanzialmente lasciati senza diritti, mentre Apple se ne riserva invece una grande quantità.

Si legge nello studio: “Ricevere una notifica quando le condizioni contrattuali vengono modificate dovrebbe essere considerato un diritto minimo irrinunciabile. Il fatto che questo possa essere fatto senza informare gli utenti è inaccettabile”.

Difficile non essere d’accordo. Se vuoi leggere lo studio completo del Consumer Council of Norway sui contratti del cloud computing, lo trovi qui.

Apple? Non si prende responsabilità

Nel 2012 due avvocati statunitensi specializzati in questioni legali legate alla tecnologia, Sharon D. Nelson e John W. Simek, della Sensei Enterprises decisero di studiare con attenzione le condizioni che devono accettare gli utenti di iCloud quando attivano il servizio, sottolineando alcune cose sgradevoli (qui trovi l’articolo pubblicato su americanbar.org).

Tra tutte, due ci sembrano particolarmente degne di nota.

GeolocalizzazioneInnanzitutto ci viene fatto presente che i dati che le applicazioni basate sulla geolocalizzazione raccolgono possono essere usati da Apple e dai suoi partner, ma senza specificare come, né per quanto tempo le conservino. Il che vuol dire che lasciamo loro carta bianca.

Tra questi dati ci sono i movimenti tracciati col GPS, l’ID del tuo dispositivo e l’Apple ID. Se aggiungiamo il fatto che gli iPhone più recenti hanno anche un lettore di impronte digitali, è facile capire come la vita di ogni possessore di smartphone Apple sia tracciabile fin nei dettagli.

In pratica è facilissimo per Apple e per i suoi partner sapere che Tizio abita a tal indirizzo, che fa jogging 3 volte alla settimana, che frequenta spesso ristoranti vegetariani, che ama l’opera, che frequenta solo i cinema che trasmettono i film in lingua originale.

Sono informazioni, queste, che per questi fantomatici partner di Apple valgono una fortuna. E siamo noi, cliccando su Agree, ad autorizzarli a metterli insieme e ad usarli per scopi commerciali.

Se è vero che i dati relativi ai tuoi comportamenti vengono tenuti in gran cura e considerazione, non altrettanto si può dire dei dati che interessano a te, cioè i tuoi file. Apple infatti non si prende alcuna responsabilità per l’integrità di ciò che metti in iCloud.

Si legge infatti, tutto in lettere maiuscole, che “APPLE NON GARANTISCE CHE I CONTENUTI CHE LEI PUÒ MEMORIZZARE O A CUI PUÒ ACCEDERE ATTRAVERSO IL SERVIZIO NON SARANNO SOGGETTI A DANNO INVOLONTARIO, ALTERAZIONE, PERDITA O RIMOZIONE IN CONFORMITÀ CON I TERMINI DEL PRESENTE CONTRATTO, E APPLE NON SARÀ RESPONSABILE QUALORA TALE DANNO, ALTERAZIONE, PERDITA O RIMOZIONE DOVESSE VERIFICARSI”.

Leggendo tutto ciò, quindi, si ha l’impressione che, quando si tratta di usare i nostri dati per scopi economici, la cura con cui veniamo trattati è massima, mentre sui dati che interessano solo noi (i nostri documenti, le nostre foto, i nostri contatti e tutto il resto) nessuno si prende responsabilità. E se qualcosa va storto, peggio per noi.

La storiaccia delle email censurate

CensuraLa vicenda che segue non riguarda strettamente le condizioni d’uso di un servizio, ma in generale il potere di stabilire per esso, senza che l’utente ne sia consapevole, delle limitazioni. In questo caso parliamo di posta elettronica.

Nel febbraio del 2013, Macworld pubblicava un articolo in cui rivelava che le email di iCloud (quelle @icloud.com, che ci vengono assegnate nel momento in cui sottoscriviamo il contratto di clouding di Apple) sono sottoposte a censura.

In sostanza, se a questo indirizzo ti viene inviato un messaggio di posta che contenga una frase “proibita”, non ti arriva. E di questa mancata consegna non resta traccia.

E non è necessario che la frase sia nel corpo del messaggio. Può essere anche contenuta in un allegato, ad esempio un file PDF. Neppure i file zippati si salvano dal controllo.

Si potrebbe obiettare che si tratta del normale funzionamento di un filtro antispam. Ma non è così. Gli strumenti contro la posta indesiderata già ci sono, sia in iCloud che in Mail, e fanno in modo che tutta la spazzatura finisca nella cartella Junk.

Dei messaggi con frasi proibite, invece, non resta traccia da nessuna parte. Nell’esempio riportato da Macworld, a cadere sotto la mannaia della censura è la frase “barely legal teens”, che fa riferimento a pagine internet non proprio immacolate, ma che può essere usata anche senza alcuna malizia, in contesti del tutto leciti.

Il problema è che la lista di frasi proscritte non è nota, e questo rende il servizio inaffidabile, soprattutto se lo si intende usare come indirizzo email professionale.

Nessuno è al sicuro

Insomma, la morale della favola è che è importante leggere e capire ciò che accettiamo quando sottoscriviamo un servizio. Se non lo facciamo, trovarsi d’un tratto un disco degli U2 on the cloud è il minimo dei problemi che possiamo aspettarci.

Ovviamente Apple non è la sola a farci firmare documenti di questo tenore. Quindi, anche chi vive in un ambiente Apple-free stia bene all’erta. E per aiutarsi c’è uno strumento validissimo: il sito tosdr.org, che offre un add-on per il browser che ti aiuta davvero a capire, ogni volta che clicchi su Accetto, cosa ciò comporti.

Se vuoi scoprire cos’altro hai accettato quasi sicuramente senza rendertene conto, leggi questo articolo di Samuel.

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